

La crisi pandemica che ha investito il mondo da un anno a questa parte ha messo in ginocchio l’economia, questo è un dato di fatto. 350mila aziende italiane sono in sofferenza, e, con esse, anche tutte le famiglie che da queste aziende traevano i mezzi di sostentamento. Quelle che si sono adattate, per così dire, al nuovo modus operandi si sono viste costrette a servirsi di metodi di lavoro fino ad ora impensabili, e quantomeno discutibili. Lo smart-working (il lavoro “furbo”, “intelligente -come se il lavoro di prima fosse divenuto obsoleto, stupido, e da migliorare ad ogni costo- ) ha avuto uno sviluppo senza precedenti. In fondo l’idea di base è sillogisticamente corretta. Se, in azienda, lavoro servendomi di un computer (connesso alla rete globale), nulla vieta che io possa svolgere lo stesso lavoro anche da casa; servendomi, anche tra le mura domestiche, di un dispositivo analogo. La rete globale raggiunge ogni angolo del globo, o quasi, e, in fin dei conti, non c’è molta differenza se, per svolgere le mie mansioni, io mi trovo in azienda o a casa. Tutto corretto, certo, in linea di principio, ma totalmente avulso dalla realtà. Come se non fosse stato abbastanza umiliante per la condizione umana il doversi salutare “a gomituccio”, ora il distanziamento a-sociale ci separa dai colleghi in maniera permanente. Qualcuno forse avrà anche tirato un sospiro di sollievo, magari quello che non sopportava troppo il vicino di scrivania, e forse qualcuno avrà anche pensato che avrebbe risparmiato i soldi del carburante. La macchina rimane ferma in garage, non vedo il collega antipatico; beh, che c’è di sbagliato? A ben guardare i benefici sono molto superiori ai danni collaterali; la pandemia è quasi una benedizione. Ma, a voler guardare ancora meglio, e non lasciandosi ingannare dall’arida crosta che cela il marciume sottostante, lo smart-working è solo un altro, l’ennesimo, strumento di controllo impostoci dal sistema. Facciamo uno sforzo, piccolo piccolo, ed evitiamo per un attimo di pensare alla gioia di non dover avere a che fare con i colleghi più ostici da digerire: cosa rimane? Lo stesso lavoro di sempre, ovviamente, ma depauperato di una componente fondamentale: l’interazione umana. Ed eccoci intrappolati in un gigantesco social network, dove i colleghi svaniscono e rimaniamo soli con noi stessi, confinati e felici nelle nostre abitazioni. E’ meraviglioso, non c’è che dire. L’uomo non è un animale solitario, è un essere dotato di modelli comportamentali sociali, è un essere evoluto, dotato di raziocinio, e di sentimenti. Anche l’antipatia, esattamente come la empatia, è un sentimento; e la sua soppressione porta inevitabilmente ad un appiattimento della sua sfera emotiva. Il confinamento indottoci dalla pandemia tende a spersonalizzare l’Uomo, a ridurre le sue interazioni ad una serie di immagini trasmesse dallo schermo del computer, del tablet, o dello smartphone (il telefono intelligente, che, più diventa intelligente, più ci rende stupidi). E’ tutto talmente “smart”, è tutto talmente “easy”, è tutto così spaventosamente “friendly”, è tutto talmente sovrabbondante che non ci servono nemmeno più le emozioni. E, ovviamente, meno le emozioni vengono allenate, meno possono evolversi e migliorare. La pazienza, la tolleranza verso chi non ci va troppo a genio, l’amicizia stretta in lunghe giornate a stretto contatto, le chiacchiere davanti ad un caffè a metà mattinata, tutto questo sparisce; e viene soppiantato da una solitudine indotta che sa molto di regime carcerario. Il ragionamento di base è che, tanto, standomene comodamente seduto a casa, posso benissimo comportarmi come voglio, posso abbandonare ogni sorta di schema sociale, posso tranquillamente disimparare a vivere in società.

E i miei figli, beh, che fortunati, possono addirittura imparare da casa, anche loro comodamente chiusi nelle loro stanze, persi a fissare uno schermo che li instupidisce, ad ascoltare lezioni che assomigliano più a “tutorial” che a lezioni vere e proprie. I professori che “mettevano paura”, quelli con cui “non volava una mosca”, non fanno più così tanta paura una volta racchiusi in una finestrella video. Che fortunate queste generazioni, davvero, le invidio. E poi, dopo che il lavoro, o quando la quasi-scuola è finita, beh, si cambia solo piattaforma d’intrattenimento, e il gioco ricomincia. Sempre davanti allo schermo. Perché l’aria pura non esiste più: il virus l’ha resa malsana, e anche uscire in cortile a giocare è pericoloso; bisogna per forza mettersi la museruola, pardon, la mascherina; e stare ad un metro di distanza. E la sera, beh, la musica non cambia; altre mille piattaforme tecnologiche ci permetteranno di passare ore felici davanti ai nostri personali palinsesti preferiti. Sempre (rin)chiusi in casa, ovviamente. L’aria, si sa, fa male. Ora, però, sorge un problema, le bollette schizzano alle stelle, e il consumo di elettricità non è mai stato così alto, i conti vanno pagati; e forse l’azienda per cui lavoro non ha modo di proseguire in questa pratica, che ora sembra sempre meno “smart”, del lavoro a distanza. I danni di questa scellerata condotta, impostaci da chi sa benissimo che questa pandemia è tutta una farsa, non si vedranno a breve, certo che no, ma si ripercuoteranno nei mesi a venire, e poi nei -pochi- anni che questo Pianeta avrà ancora da offrirci. Non facciamoci troppe illusioni: il mondo di prima è andato. Morto. E sepolto. Ora la nostra libertà vale meno di una falsa notizia data dalla televisione. Il carrozzone mediatico continua a bombardarci con statistiche volutamente catastrofiche, e il virus si ingigantisce di giorno in giorno, ma solo nelle menti di chi ancora crede a quanto gli viene propinato. Il problema, o il colpo di genio -dipende da che punto di vista si voglia assumere- è che questa massa di indottrinati ha dei bisogni reali: mangiare, fare la spesa, comprare una lampadina, capire come passare le oziose ore di nullafacenza cui ci obbliga il coprifuoco (ridicolo e dannoso). Ma i padroni hanno la soluzione, ovviamente, loro sono sempre un passo avanti: creato il disagio, inventata la panacea. Una miriade di “app” ci porta il mondo in casa, e i paria del nostro mondo fungono da fattorini. E, per far funzionare tutto, i padroni ci mettono a disposizione tutta la tecnologia di cui abbiamo bisogno. E così, nonostante la gente abbia sempre meno denaro -lavorando meno si hanno meno soldi, che stranezza- , lo stillicidio mediatico spinge come non mai sul tema della transizione tecnologica. Ripeto: tutto smart, tutto friendly, tutto easy! E ora, geniacci, provate a soffiarvi il naso con l’app “fazzoletto” installata sul vostro tablet nuovo di pacca. Quando ci sarete riusciti, chiamatemi. O meglio, chiamate i nostri padroni, quelli che ci hanno ridotti in questo stato. Dopo il bonus monopattino e i banchi a rotelle pensavo che non si potesse cadere più in basso, ma avevo torto. Dopo un anno e qualche mese di prese in giro siamo allo stesso punto di prima, solo con meno speranze, e ancora con Speranza alla guida della combriccola. Siamo messi male, ma a Milano sfilano per il decreto Zan, e festeggiano l’ Inter dello scudetto; qualcosa deve esser andato storto. Le manifestazioni me le sarei aspettate, ma per metter a ferro e fuoco gli organi di questo governo incompetente; non certo per inneggiare al peggior abominio sessuale che l’Italia abbia mai visto, o per festeggiare undici miliardari in mutande che rincorrono una sfera piena d’aria.

Qualcosa è andato storto, ma mi consola sapere che, tuttavia, qualcosa è andato storto anche ai piani alti, e che si sia palesata una crisi, in apparenza, insensata. La crisi dei microchip, la “CHIP CRUSH”, tanto per dirla all’americana. I microchip sono ovunque: dallo spazzolino elettrico ad ogni dispositivo elettronico che è presente sulla faccia della Terra; e la loro richiesta si è decuplicata in periodo di pandemia. E c’è ben poco di cui stupirsi: restando in casa per buona parte della giornata, appiccicati a tutto ciò che di tecnologico possediamo, logoriamo come non mai i nostri apparecchi, di qualunque genere essi siano. E questi vanno sostituiti, e sempre più spesso, anche grazie a quel geniale concetto che è l’obsolescenza programmata. La tecnologia avanza e diventa sempre più intelligente, ma dura sempre meno, e, avendo una vita più breve, necessita di rincalzi sempre più potenti -non ci si accontenta certo di comprare lo stesso modello!- e più alla moda. Ogni “device” contiene una manciata di chip, e, se mai qualcuno si volesse porre il problema della loro origine, è bene che sappia che arrivano… dalla Cina. Che novità, direte, il mondo ormai è tutto made in China, dove sta la novità. In effetti non c’è nulla di nuovo, l’unico particolare che differisce rispetto a prima è che la Cina stia diventando la nuova America. La vecchia nazione arretrata sta diventando un colosso tecnologico, e il clima da guerra fredda con gli USA non aiuta certo le esportazioni. Il problema non sono tanto i microchip in sé: gli Usa li producono, e di ottima qualità, ma, proprio per questa loro qualità, non sono a buon mercato. E le materie prime costano, e parecchio. I chip “da quattro soldi” che fanno funzionare la vostra radiosveglia sono i più utilizzati, esattamente come quelli che accendono lo schermo di uno smartphone, e sono tutti made in China! E, guarda caso, sono tutti prodotti con minerali rari: le cosiddette “terre rare”.

E queste terre rare, caso ancor più singolare, si trovano per il 41% in Cina, e per il 30% in Africa (in buona parte sotto il controllo dei nuovi coloni con gli occhi a mandorla). E’ abbastanza intuitivo che le sanzioni americane e la pandemia abbiano creato una reazione a catena, portando i “musi gialli” a chiudere i rubinetti. Saranno anche comunisti, ma, quando si parla di soldi, sono tutt’ altro che sprovveduti! La reazione a catena è facile da controllare per chi possiede sia le miniere (buona parte di esse, tra le altre cose, al limite della legalità e più simili a discariche di scorie tossiche a cielo aperto), e il know-how per realizzare il prodotto finale. I processi per l’estrazione delle terre rare sono estremamente laboriosi, e, dagli anni ’70, la Cina si è specializzata proprio in questo settore, bagnando, proverbialmente, il naso agli Americani. Le principali fonti di terre rare sono i minerali bastnasite, monazite e loparite, e le argille lateritiche. Nonostante la loro abbondanza relativamente alta, le terre rare sono più difficili da estrarre rispetto alle equivalenti fonti dei metalli di transizione, rendendole relativamente costose. Il loro uso industriale è stato molto limitato finché non si sono sviluppate efficienti tecniche di separazione, tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta del Novecento.

Dal punto di vista della distribuzione mondiale, fino al 1948 la maggior parte delle terre rare del mondo provenivano dai depositi di sabbia indiani e brasiliani, soppiantati poi, durante gli anni cinquanta dal Sudafrica. In seguito furono scoperti anche notevoli giacimenti a Mountain Pass, in California, che tra il 1965 e il 1985 circa divennero addirittura i più produttivi del mondo. Ma, dopo il 1985, si impose sempre maggiormente la Cina, che, all’attuale, produce oltre il 95% della fornitura mondiale. L’utilizzo di queste terre rare è cresciuto notevolmente negli anni passati. Ad esempio il disprosio ha acquisito un’importanza significativa per il suo utilizzo nella costruzione di motori di veicoli ibridi, vero Santo Graal dell’ Ecologia Ecumenica. Ad oggi tutte le terre rare pesanti del mondo (come il disprosio) provengono da depositi cinesi come quello di Bayan Obo (CINA). Il punto è semplice: si è creato un sistema volto all’iper-consumo, ma questo stesso sistema ipertrofico sta cedendo per colpa dell’avidità e dell’ingordigia dei suoi ideatori. E questa situazione, a mio avviso, avrà solo due ripercussioni possibili: 1- l’America cercherà di riprendersi il “suo” ruolo dominante, anche in questo campo -costi quel che costi-, e, 2- la Cina virerà sempre di più verso una politica rivolta a Mosca, con tutte le conseguenze del caso. Biden sembra non abbia altro da fare che stuzzicare Putin, e l’offrirgli, su un piatto d’argento, la collaborazione della più grossa dittatura comunista del Mondo, tra l’altro proprio per colpa della sanzioni che gli americani si divertono a distribuire come caramelle, non pare il miglior modo per evitare un conflitto mondiale. Ma forse, e dico.. forse, è proprio questo il piano del vecchietto sonnolento. Lui è solo una marionetta al soldo dei suoi padroni, quegli stessi padroni che lo muovono come meglio credono, e che lo ritengono sacrificabile come il resto dell’Umanità, che disprezzano profondamente. Forse l’ala sionista del governo del Mondo ha fretta di realizzare i propri piani, forse sanno che il tempo stringe e che la storiella della pandemia non potrà reggere in eterno. La gente pare inizi a svegliarsi, altrimenti non si spiegherebbe la folle corsa alle vaccinazioni, impostaci ormai come unico mantra di salvezza! Forse siamo già in guerra, e nemmeno lo sapevamo. Si, forse siamo già in guerra, d’altronde quando mai si è visto un tale pullulare di governi “tecnici”, o di alto profilo? Solo in tempo di guerra. Furono governi tecnici (o di coalizione, o di alto profilo) quello di Boselli, o quello di Orlando, durante la Prima Guerra Mondiale; e come non pensare ai governi Badoglio II, Bonomi II, Bonomi III, Parri, De Gasperi I, De Gasperi II e De Gasperi III, tutti legati al Secondo Conflitto Mondiale; come non citare i ministeri di Herbert Henry Asquith e di David Lloyd George, susseguitisi alla guida dell’Inghilterra tra il 1908 e il 1922; e come tralasciare il vecchio, caro, ben noto massone Winston Churcill, che subentrò all’attendista Chamberlain?

Tutti, o quasi, uomini legati a doppio filo a quell’oscura ala del sionismo che appoggia la massoneria, gli Illuminati, e tutti i galantuomini che si sono seduti sui più importanti scranni della politica nell’ultimo secolo del millennio da poco estintosi. Governi tecnici, pensati per superare le crisi, che hanno provocato altre crisi -ben più gravi- che si sono estese fino ai giorni nostri. L’ultimo, solo in ordine cronologico, è Draghi, l’ennesimo fantoccio posizionato dal Potere, l’Uomo pronto ad affossare definitivamente l’Italia. Osservando la Storia da un punto più elevato è facile distinguere la mano ossuta che tira le fila delle vicende: chi sa osservare riconosce in essa le Parche che affamano i popoli e che vogliono la loro distruzione; Satana agisce tramite l’influsso di banchieri con lunghe barbe e cappelli dalla tesa larga, uomini vestiti di nero che si affidano ai loro subalterni per riconquistare la Terra Promessa; poco importa se quella Terra la devono sottrarre a chi già la possiede. La perfidia che li muove si è servita di Churcill per introdurre l’idea (già ventilata con la Dichiarazione Balfour -1917- ) di uno Stato sovrano da poter utilizzare come “laboratorio razziale”; idea poi fortemente appoggiata dagli Usa dopo la seconda Guerra mondiale. La scaltrezza di questi individui ha fatto sì che il Mondo intero si piegasse al rimorso e si prostrasse ai loro piedi in segno di riverenza. Ogni Cristiano doveva pagare per l’offesa originaria arrecatagli da Colui che non hanno riconosciuto come il Salvatore. Ogni Uomo avrebbe dovuto sottostare a quanto Dio aveva promesso loro. Peccato che, proprio a causa della loro fallace interpretazione di Dio, non si siano accorti, o non abbiano voluto accettare, che il Regno Promesso non appartiene a questo Mondo. Il signore di questo mondo è stupido, gretto, e odia l’Uomo; è solo un Mazzarò qualunque, che, di fronte alla sconfitta continua ad uccidere galline, urlando come un pazzo: <<Roba mia, vientene come me!>>
https://it.wikipedia.org/wiki/Terre_rare
https://www.agi.it/economia/news/2021-04-14/chip-crisi-cause-semiconduttori-cosa-sono-12147886/